L'altra notte a Bruxelles i ministri finanziari della zona euro hanno raggiunto l'accordo per porre sotto la sorveglianza unica della Bce le principali banche europee. L'accordo diventerà operativo dal 1 marzo 2014.
L'obiettivo della riforma è il ritorno al sistema tradizionale con un unico cda.
Secondo gli analisti di Mediobanca, l'istituto guidato da Alberto Nagel, la nascita di un'unione bancaria europea, attesa nel 2013, potrebbe favorire una nuova ondata di fusioni e acquisizioni tra le banche popolari italiane. E il profilo delle banche popolari potrebbe essere incompatibile con le condizioni che l'Unione bancaria sta cercando di raggiungere.
Le banche popolari hanno una quota di mercato del 40% in Francia, del 20% in Germania, del 30% in Austria, del 40% nei Paesi Bassi e del 30% in Italia. Ciò dimostra che lo status di cooperativa non è un'anomalia italiana, piuttosto che l'Italia è l'unico Paese Ue che ha dato alle popolari l'accesso diretto al mercato azionario.
Per Mediobanca quindi l'M&A può cristallizzare valore prima di un potenziale cambiamento della governance delle popolari. Le esperienze passate di aggregazioni bancarie in Italia hanno avuto effetti negativi in termini di creazione di valore, ammette Piazzetta Cuccia, pensando a Unicredit-Capitalia, BP-Bpi e Mps-Antonveneta. Quindi si capisce l'avversione degli investitori verso l'M&A in Italia.
Ma nel caso delle banche popolari italiane può essere diverso. Il basso livello di redditività, i vincoli sui finanziamenti, i problemi di qualità del credito, la regolamentazione e, appunto, la nascita di una supervisione bancaria unica europea sotto il cappello della Bce sono tutti fattori che per gli analisti possono spingere verso operazioni di fusioni nel nostro Paese.
Guardando a fattori culturali, ai prodotti/rami che si sovrappongono, alla base costi, alla qualità del credito e al finanziamento, Mediobanca arriva alla conclusione che le combinazioni ottimali tra le popolari italiane sarebbero tra Ubi Banca e la Popolare Emilia Romagna e tra il Banco Popolare e la Popolare di Milano.
La prima unione dovrebbe generare 260 milioni di euro di sinergie di costo (il 7% dei costi dell’entità combinata, il 39% dei quali da organico). Il merger sarebbe accrescitivo sull’eps dal secondo anno del 17% con un Roi (ritorno sugli investimenti) dell’11%. Invece la seconda unione dovrebbe generare 335 milioni di sinergie di costo (9% dei costi, il 40% dei quali da organico), un +16% dell'eps dal secondo anno con un Roi del 15%.
Unire tutte e quattro le banche aggiungerebbe un ulteriore 23% di valore. Si otterrebbero benefici anche a livello di capitale: la fusione tra Ubi Banca e la Popolare Emilia Romagna assicurerebbe alla nuova banca un livello di Core Tier 1 del 10%, mentre nel caso di un merger Banco Popolare/Bpm al 9%.
La storia, ricordano gli analisti di Mediobanca, ha dimostrato che il processo di M&A tra le popolari è avvenuto attraverso operazioni amichevoli carta contro carta e dopo la moral suasion da parte di Banca d' Italia. Ma ora con il ritorno dell'incertezza politica in Italia, con le elezioni a febbraio e con probabili operazioni di pulizia di asset problematici, "inseriamo l'M&A delle popolari come un tema per il secondo semestre del 2013".
Naturalmente la condizione principale per dare il là a questo processo è una moral suasion da parte della Banca d'Italia. "Ci aspettiamo che la Banca d'Italia svolga un ruolo fondamentale nel guidare il processo di consolidamento con un approccio di moral suasion dall'alto non dissimile da quello che lo stesso regolatore sta cercando di raggiungere con la bad bank", concludono gli analisti di Mediobanca che hanno un rating outperform su Bper, Bpm e Ubi Banca, dopo aver rivisto i target price rispettivamente da 6,10 a 6,30 euro, da 0,55 a 0,50 euro e da 4 a 3,70 euro. Nel caso del Banca Popolare il rating è neutral (il target passa da 1,50 a 1,10 euro).
(da Milanofinanza)
venerdì 14 dicembre 2012
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